Non tutte vogliono essere madri. "La figlia unica": un romanzo semplice sulla complessità sociale

Di quanto la donna possa sentirsi pressata dalle convenzioni sociali e tacitamente o inconsciamente obbligata a sottostare a determinati ruoli, saldi e sacri, è stato argomento di dibattiti moderni e fulcro cruciale di romanzi. In letteratura, il ruolo della donna come madre, moglie, figlia, amante, rivoluzionaria, è stato ampiamente sviscerato, ma c'è sempre qualcosa da aggiungere e "La figlia unica" ne è un esempio.

Nettel G., "La figlia unica",
La nuova frontiera, 2020.

Trent'anni sono una meta cruciale nel percorso di una donna. A trent'anni si fanno bilanci e considerazioni. L'orologio biologico inizia a far sentire il suo peso; quando non lui direttamente, ci si mettono di mezzo genitori, familiari o timori inculcati. A trent'anni dovresti essere sposata, o stare per farlo, o almeno in una relazione stabile; a trent'anni dovresti avere almeno un figlio o avere il desiderio di diventare madre. Dovresti. Oppure no?

Mi viene in mente il romanzo del Premio Nobel Doris Lessing intitolato "The grass is singing" ("L'erba canta"), in cui Mary decide di sposarsi e dare una svolta alla sua vita serena per assecondare doveri sociali che le appaiono inevitabili. Da lì, la catastrofe. 

Non tutte le donne sentono il bisogno di diventare madri. Se mi permettete una digressione personale, io non ho desiderato essere madre per diversi anni della mia età adulta. Non è che non volessi figli - attenzione! -, ma non ne sentivo assolutamente l'urgenza. Anzi, ero pienamente consapevole della necessità di soddisfare egoisticamente le mie esigenze personali e raggiungere determinati obiettivi che mi ero prefissata, prima di pensare alla maternità. Conoscendomi, sapevo che avrei concesso a mio figlio corpo e anima, dunque volevo aspettare di sentirmi "pronta" (e uso questo termine impropriamente, ma preferisco non aprire qui un altro dibattito), ovvero di sentirmi appagata tanto da trovare tempo ed energia necessaria da dedicare a un neonato. E così è stato. Oggi, a trentadue anni, non potrei neanche lontanamente immaginare la mia vita senza mio figlio, che mi ha regalato una nuova visione della vita e dell'amore; eppure, la mia vita prima di lui ha avuto un valore fondamentale per raggiungere la mia attuale soddisfazione e consapevolezza. La maternità è una scelta. O perlomeno così dovrebbe essere. Ci sono donne che scelgono di non essere madri; ma ci sono anche donne che vorrebbero esserlo e non possono, o che lo diventano e non lo desiderano.

Nel romanzo di Guadalupe Nettel il tema è affrontato con sorprendente semplicità, attraverso la storia di tre donne, ognuna delle quali rappresenta una situazione emblematica. Laura è la narratrice che racconta le vicende dell'amica Alina, la quale decide di avere un figlio col compagno Aurelio, e della stramba vicina di casa, alle prese con un figlio violento.

Mentre Laura decide di farsi legare le tube, pienamente convinta della sua rinuncia volontaria alla maternità, Alina, che fino a poco prima condivideva con l'amica le sue convinzioni sul ruolo autonomo della donna, sente il bisogno di diventare madre. La loro amicizia sembra raggiungere un bivio pericoloso, che annuncia due strade opposte.

Quando finalmente ha pronunciato la parola "incinta", ho sentito un tuffo nel petto così simile alla gioia che mi ha sconcertato. Com'era possibile che fossi felice? Alina era sul punto di scomparire per unirsi alla setta delle madri, esseri senza vita propria che, con grandi occhiaie e l'aria di zombie, spingono le carrozzine nelle strade della città. In meno di un anno si sarebbe trasformata in un automa dell'allevamento.

In realtà, Alina e Laura non si separano: nonostante la scelta di vita completamente diversa, le due amiche affrontano insieme quel percorso sconosciuto. La stessa Laura, intenta nella scrittura della sua tesi, si sente partecipe di un percorso di creazione che può essere paragonato alla gravidanza.

Io ero sempre più concentrata sulla scrittura della tesi, che a volte mi veniva da paragonare alla gestazione della mia amica. Decidere la struttura del libro che si intesseva nella mia mente e nel mio computer era come formare uno scheletro che immaginavo solido e insieme agile. A volte anche la mia creazione mi provocava le nausee.

Le due condividono l'entusiasmo iniziale delle prime visite e dei preparativi, volti ad accogliere la futura figlia che porta già il nome di Inés, quando questo viene bruscamente troncato da una notizia sconvolgente: una grave malformazione non permetterà alla piccola di sopravvivere dopo la nascita. Alina partorirà una bimba destinata a morire di lì a poco.

Solo il pensiero di una realtà tanto drammatica quanto plausibile mette i brividi. 

Nel frattempo, Laura, affiancando l'amica in un percorso burrascoso e in una gravidanza che consiste nel prendere coscienza della morte, cerca di partorire il capitolo della sua tesi, ma le grida del bambino dell'appartamento a fianco la distraggono. Una parete sottile divide silenzio e rumore, ma fa da prigione soffocante a una sofferenza soppressa. La vicina di casa, madre vedova, è una donna sola, impotente di fronte alla violenza di un figlio che ama profondamente, ma che fa fatica a gestire. L'incubo del marito defunto la rincorre: è dal padre che il piccolo Nicolás ha acquisito la brutalità.

Un fatto apparentemente insignificante si insinua nella storia. Due piccioni, ostinatamente, sono riusciti a costruire il loro nido sulla trave del balcone di Laura, che si arrende alla forza della proliferazione, nonostante i primi tentativi di scacciarli dal suo territorio, invaso dalla loro sporcizia. Alla fine, lei si abitua alla loro presenza, al loro tubare, tanto da diventare addirittura premurosa nei confronti dell'unico uovo, di due, che è sopravvissuto. Una volta sbucato fuori, l'uccellino ha qualcosa di atipico. Depositato da un cuculo, si rivelerà essere un chiaro esempio del parassitismo di cova. I due piccioni gli dedicheranno le medesime cure parentali che avrebbero riservato al loro uovo non ospite.

A volte i figli arrivano senza averli pianificati [...] come se qualcuno depositasse un uovo nel nostro nido.

Una riflessione che mi preme sottolineare è il ruolo del padre in un discorso che può sembrare eccessivamente femminile. Sostenere il movimento femminista e appoggiare le libertà della donna, anche in relazione alla maternità, non esclude affatto l'uomo, anzi, dovrebbe coinvolgerlo maggiormente. Di fatti, il motivo per cui i doveri (e i diritti) sono relegati quasi esclusivamente alla donna non ha la sua origine in ragioni biologiche e naturali. La donna allatta (anche se non sempre) -, il maschio non può espletare tale funzione per mezzo delle sue mammelle; il neonato, dopo aver trascorso circa 40 settimane nel grembo materno, tende a ricercare la sua "casa" nel corpo della donna piuttosto che in quella del padre. D'accordo. Ma dal punto di vista sociale, gli obblighi genitoriali non vengono equamente distribuiti, e di conseguenza (o ne è la premessa?) il ruolo del padre risulta spesso "accessorio". Questo è un punto delicato da analizzare: far valere determinati diritti spesso considerati "femministi" nel senso di "essere relativi all'universo femminile", in realtà, significa anche dare maggior VALORE, e non peso, al ruolo dei padri. Il padre ha diritto a sette giorni di congedo parentale dopo la nascita del figlio (sette, dopo essere stato prolungato dai precedenti tre e poi quattro), come se il padre non fosse fondamentale per la crescita del figlio, come se non fosse un suo diritto trascorrere più tempo con la nuova famiglia condividendo gioie, stress e cure quotidiane con la madre.

[...] Tanto il cognome quanto la patria potestà sono ossequi fatti agli uomini una volta che riconoscono i figli, quasi come una dote. La cosa certa è che nella nostra società i figli sono assegnati ai padri in modo facoltativo e alle madri obbligatoriamente.

Condivido, dunque, la sottile critica sociale che traspare dalle righe del romanzo. Nel complesso, la narrazione è scorrevole e le tematiche, interessanti e attuali, sono presentate senza gravosità. Nettel illustra la famiglia nella sua varietà, stando al passo coi tempi e scollandosi totalmente dalle idee conservative. Nella famiglia, i ruoli di madre e padre scompaiono per essere sostituiti da un generico e onnicomprensivo ruolo di "genitore", di colui che più che "generare" fisicamente il figlio, se ne prende cura, lo cresce e lo ama: dunque, il concetto di famiglia, inevitabilmente, cambia e si allarga, rispecchiando la realtà dei fatti.

Un romanzo attuale, limpido, fluido e snello, che affronta temi scottanti con naturalezza, semplicità e leggerezza. 


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