"Due vite": i ritratti di Emanuele Trevi in equilibrio tra carne e mente

"Perché noi viviamo due vite, entrambe destinate a finire: la prima è la vita fisica, fatta di sangue e respiro, la seconda è quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene."

Trevi E., "Due vite",
Neri Pozza, 2020.

E nella mente di Emanuele Trevi, rivivono Rocco Carbone e Pia Pera, amici scrittori di cui l'autore ripercorre esperienze condivise e solitudini incolmabili. Infelice il primo, timida l'altra, entrambi erano consci delle loro debolezze e non per questo meno forti o determinati. Evoluzione artistica, pubblicazioni, delusioni e soddisfazioni: "Due vite" è un racconto intimo che svela tormenti e carezze dell'animo umano.

Inizia così.
Era una di qulle persone destinate ad assomigliare, sempre di più con l'andare del tempo, al proprio nome. Fenomeno inspiegabile, ma non così raro. Rocco Carbone suona, in effetti, come una perizia geologica. E molti lati del suo carattere per niente facile suggerivano un'stinazione, una rigidità da regno minerale. A patto di ricordare, con i vecchi alchimisti, che non esiste in natura nulla di più psichico delle pietre e dei metalli.
Tra gli incipit più memorabili che abbia letto ultimamente, il narratore si pone sin da subito in un angolo per osservare e descrivere un vecchio amico, come a redimere un presagio, quello dell'oblio. Assecondando il dovere di ricordare chi non c'è più, Emanuele Trevi dedica le sue pagine alla ricostruzione di un uomo attraverso dettagli e aneddoti, che non potranno mai essergli completamente fedeli, ma che almeno conferiscono un'idea di chi fosse. Al ritratto dell'amico, si aggiunge quello dell'altro elemento del terzetto: Pia. I ricordi, destinati a morire, trovano la loro eternità nella carta.

Scrivere di una persona reale e di un personaggio immaginario alla fine dei conti è la stessa cosa: bisogna ottenere il massimo dell'immaginazione di chi legge utilizzando il poco che il linguaggio ci offre.

Scrivere di una persona reale, forse, è ancora più complesso perché bisogna sottostare al principio di fedeltà e ci si barcamena sul filo sottile su cui grava il peso della realtà e il principio creativo.


La felicità dovrebbe concidere ad una sempre minore attenzione a se stessi. Altro che cura di sé! Meno sai chi sei e cosa vuoi, meglio stai.

Ricco di rimandi culturali e citazioni letterarie, tra gli aneddotti raccontati spicca l'iniziale ricordo di una mostra a cui i tre parteciparono e, in particolare, troneggia il ricordo di un quadro: "L'origine del mondo" di Gustave Courbet. Sconcertante, perturbante, sconvolgente, quasi blasfemo: un'opera artistica che mette in crisi, desta imbarazzo e quasi rifiuto. Eppure, l'origine del mondo non è nulla di più semplice e naturale. 



Il riferimento al quadro funge da cornice all'intero racconto, avvolgendolo in un abbraccio strutturale dall'inizio alla fine. Il ciclo della vita si conclude nella sua stessa origine; il libro termina ricollegandosi al suo principio.

Un incipit che è una meraviglia, una struttura ciclica che metaforicamente rimanda a "L'origine del mondo", uno stile impareggiabile: "Due vite", candidato al Premio Strega, contiene due ritratti umani e una frastagliata ma indissolubile amicizia.

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