A. D'Avenia: la rivoluzione de "L'appello"

Ogni mattina, in ogni classe di ogni scuola si svolge l'appello, quella procedura ormai piuttosto meccanica di chiamata e risposta per verificare la presenza in aula degli alunni. L'appello può caricarsi di una sfumatura emotiva più consistente quando avviene, ad esempio, il primo giorno di scuola o da parte di un professore che entra in una nuova classe. In questi e altri casi assume una nota più colorita, dovuta alla motivazione per cui si nominano gli alunni: l'intenzione è quella di conoscere qualcosa di loro, di sapere come siano andate le vacanze, quali siano le loro passioni, insomma di farli parlare un po'. Se l'appello così interpretato diventasse una vera e propria rivoluzione? Un nuovo metodo su cui improntare la didattica, volta a estrapolare informazioni dallo studente per adattarle alla materia oggetto di studio, piuttosto che favorire il processo inverso, argomento-studente?

Nel suo ultimo romanzo, Alessandro D'Avenia, docente di Lettere e autore di diversi testi, alcuni dei quali già ambientati in contesto scolastico (vedi "Bianca come il latte, rossa come il sangue", libro d'esordio) o influenzati dall'essere insegnante (come "L'arte di essere fragili"), impronta la storia proprio sul significato dell'appello, come venisse spogliato della ruggine del tempo che ne ha manomesso l'ingranaggio per renderlo più utile, originale e funzionale.

D'Avenia A., "L'appello",
Mondadori, 2020.

Professore di scienze, quarantacinque anni, moglie e due figli: Omero Romeo torna a insegnare dopo qualche anno di pausa, da quando la cecità lo ha colpito. Non è facile rimettersi in gioco e convivere con la disabilità, ma ha ormai affinato gli altri sensi e sperimentato doti come la delicatezza, la sensibilità e l'attenzione nei confronti dell'altro, che lo aiutano a far breccia nei cuori degli studenti. Classe-ghetto composta da dieci alunni, ognuno con una storia particolare alle spalle, non distribuiti in varie classi ma tenuti insieme per timore di "contaminarle", la quinta è costituita da dieci alunni, che il professore attende facciano il loro ingresso in aula.

"L'aula è ancora vuota: aula, con il suo dittongo iniziale au, è l'onomatopea del dolore delle vite qui rinchiuse, un guaito. Anche se in realtà la parola segnala in modo acusticamente perfetto uno spazio vuoto, arioso, libero, in cui si può soffiare allo scopo di produrre un suono. Ho la fissazione dell'etimologia: solo le radici fanno crescere le parole forti e rigogliose. I Greci chiamavano aulos il flauto, l'aula è la cassa di risonanza in cui la vita soffia le storie dei ragazzi che mai avremmo scelto. Per questo amo l'aula vuota, in attesa di anime e corpi. E qui noi insegnanti "professiamo" gli articoli del nostro credo: l'appello."

Per calmare l'ansia del primo giorno, il nuovo docente sceglie dieci elementi da classificare come consolidato anti-stress, ma non riesce mai a giungere al termine della lista. Immediato e sincero, confessa subito di essere non vedente, aprendosi agli studenti e rendendosi potenzialmente vulnerabile, ma Caterina, Mattia, Stella, Ettore, Elisa, Cesare, Elena, Oscar, Achille e Aurora sono incuriositi e poi affascinati dal modo in cui questo professore cieco è in grado di indirizzarli verso il mondo della conoscenza, in primis di se stessi. Non si può conoscere la realtà se non si mostra interesse verso la propria identità: guidarli alla maturità significa anche dar loro gli strumenti di auto-conoscenza, metariflessione, sensibilità e capacità critica.

Come l'autore classico da cui prende il nome, Omero diventa il regista silenzioso delle dinamiche della classe, accendendo scintille o soffiando sulle fiamme delle loro anime, invece di spegnere la loro intraprendenza. Alessandro D'Avenia, da classicista qual è, non avrà di certo scelto nomi a caso, ma avrà applicato alla perfezione il concetto latino nomen omen; da questa convinzione, si può dedurre che anche il rimando a Romeo non sia casuale. Il personaggio shakesperiano, il cui destino è stato compromesso dal suo cognome, ovvero dall'appartenza a una determinata famiglia, tenta di rifiutare le etichette pur di non sacrificare l'essenza delle cose. 

Non potendo avvalersi della vista, il professore impiega l'appello diversamente dal consueto: individuare gli alunni attraverso il loro nome, il suono della loro voce e le loro parole. Consolidando l'abitudine di questa nuova modalità di chiamata, emerge il lato più nascosto dei dieci alunni, come la sofferenza di Stella per la perdita del papà; il senso di colpa di Elena per un recente aborto; il complicato rapporto di Aurora con il proprio corpo o la chiusura di Achille che cerca la sua libertà sfruttando le doti informatiche.

Ogni individuo è una terra da esplorare e l'autostima dei giovani si plasma attraverso l'attenzione che si ha nei loro confronti, soprattutto verso i punti di forza che meritano di essere messi in luce e di cui gli stessi giovani spesso non hanno ancora preso coscienza. Fare l'appello, dunque, non è più una pratica noiosa e seccante, ma l'occasione per aprirsi alla conoscenza.

"La rivoluzione dell'Appello non avviene contro nessuno, non distrugge ma crea, fa ruotare la scuola attorno al suo centro di gravità, senza però voler eliminare ogni tensione. è un movimento vitale: non rinuncia alla vita, che è proprio ciò a cui la scuola ha rinunciato. Non si saltano le lezioni, non si fanno scioperi, occupazioni e i loro succedanei post ideologici: autogestioni, cogestioni, didattica alternativa... Rimanere in classe significa confermare ciò che si sta facendo, ma rinnovandolo dal di dentro, proprio con quelle persone e non contro quelle persone. La nostra rivoluzione è un risveglio, non una guerra, è pro, non contro."

Il romanzo è suddiviso in capitoli che hanno come oggetto le parole dei dieci ragazzi, adattate alla tematica disciplinare affrontata durante la lezione; queste sezioni sono intervallate dal diario dello stesso professore con riflessioni sui singoli alunni e sul suo trascorso. Il rapporto docente-studenti evolve attraverso le vicende che coinvolgono l'intera scuola, ripercuotendosi a livello nazionale.

Il libro offre interessanti spunti didattici e fruttuose occasioni per soffermarsi sulle debolezze del sistema scolastico italiano, attraverso le proposte degli stessi alunni, senza risultare pesante o impegnativo. La storia, però, acquisice dei tratti esagerati, portati al limite, come la ribellione, anche verbale, del professore nei confronti del Dirigente Scolastico; a volte utopistici, come il coinvolgimento del Ministro dell'Istruzione. Tratti, questi, che ho trovato difficilmente in armonia con la linearità del testo.

Per quanto apprezzi D'Avenia come autore, ammetto che le mie aspettative sono state deluse, probabilmente perché il target dei lettori è quello degli adolescenti e dei più giovani, a cui il linguaggio e l'intreccio vengono adattati. Il succo che complessivamente si può spremere dal testo è comunque un concentrato interessante: L'Appello diventa un gesto rivoluzionario, dettato dalla volontà di partire dalla chiamata del singolo per avviarsi insieme verso la scoperta del mondo.

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