Sándor Márai, Le braci


    Siamo ad agosto. L'aria comincia a rinfrescarsi con il calare del sole. Fino a qui, nulla di diverso rispetto al nostro oggi. Immaginate, ora, di essere in un castello. Immaginate di essere nel 1940. Immaginate di essere al tramonto della giornata e della vostra vita, e di ricevere la lettera di un vecchio amico. Anzi, non di "uno" in generale, ma del vostro unico inseparabile amico d'infanzia. Sono quarantuno anni che non lo rivedete...
    "Le braci", il romanzo dello scrittore ungherese Sándor Márai, si apre proprio così. L'uomo anziano, un generale dell'esercito che vive in alcune stanze del castello, è Henrik; Konrad è l'amico amante della musica che ha condiviso con lui la carriera militare con meno convinzione e che, fuggito ai Tropici, avvisa l'altro di essere di passaggio in città, dopo un silenzio lungo decenni.
   L'azione, come sospesa per quarantuno anni, si rimette in moto lentamente con la lettera che segnala l'arrivo di Konrad. Il castello, in parte ormai deserto, riprende vita sotto le direttive di Henrik, il quale, invitando l'amico a cena, fa in modo che ogni dettaglio sia identico a quando i due si videro per l'ultima volta. Gli oggetti e la loro predisposizione si sottomettono al gioco dell'illusione, creando la stessa atmosfera di quel passato che avevano condiviso. Il tempo appare, così, congelato al loro ultimo incontro, all'attimo prima in cui acquisirono piena consapevolezza che la loro ferrea e ventennale amicizia aveva subito una trasformazione radicale.


Vissero insieme sin dal primo istante, come gemelli nell'utero materno. Non ebbero bisogno di stringere patti di amicizia come fanno di solito i ragazzi della loro età, che indulgono con passionalità enfatica a rituali ridicoli e solenni, nella forma inconsapevole e grottesca in cui il desiderio si manifesta tra gli uomini quando decide per la prima volta di strappare il corpo e l'anima di un'altra persona al resto del mondo per possederla in maniera esclusiva. Il senso dell'amore e dell'amicizia è tutto qui. La loro amicizia era seria e silenziosa come tutti i grandi sentimenti destinati a durare una vita intera.

    Se nella prima parte del romanzo la narrazione procede cauta, con andamento cadenzato, attraverso la rievocazione della loro infanzia e la descrizione dei preparativi per la cena, la seconda parte ci regala un soliloquio magistrale: una sorta di deposizione minuziosa dei fatti volta alla ricerca della verità, in cui aleggia l'ombra di una lontana minaccia, che, facendosi sempre più nitida, assume le forme di una donna: Krisztina. La tensione tra i due si respira e il puzzle degli episodi rievocati si ricompone. La verità che Henrik intende perseguire, però, non è quella palese dei fatti, quanto quella più sfuggente, legata al senso stesso della vita. Qual è il significato della vita se non la passione che ci ha unito a qualcuno?
   La cena si trasforma in una sorta di confessione-espiazione, che si protrae fino a che le candele non sono consumate. Non a caso, il titolo originale dell'opera, tradotto letteralmente, è "Le candele bruciano fino in fondo". Fino in fondo bruciano le candele, fino alla fine della cena, fino alla fine del dialogo, fino alla fine della loro vita. L'incontro, inevitabile, rappresenta la chiusura del sipario.

Guardiamo in fondo ai nostri cuori: che cosa vi troviamo? Una passione che il tempo ha soltanto attutito senza riuscire a estinguere le braci.

   Un romanzo singolare, dalle pennellate gotico-romantiche - in seguito rinnegate dallo stesso autore -, che affascina con le sue tematiche, quali l'amicizia, il tradimento, la passione, la memoria, intessuti in una prosa in cui non mancano riferimenti storici. Quel che rimane, dell'amicizia, della passione, della storia, sono le braci: testimonianze di un fuoco un tempo arso, che, sebbene spentosi, non scompare mai completamente, ma conserva il ricordo del suo calore. Il passato non brucia più come prima, perché il tempo è in grado di attutire i sentimenti e raffreddare il bruciore della passione, che sia essa rabbia, dolore o amore. Di quel fuoco, però, rimangono comunque le tracce: non la cenere del nulla, né il falò del vigore, ma rimasugli di vita. Tutto ciò che conta veramente rimane sul fondo una volta che il superfluo si è consumato; tutto ciò che conta veramente e per cui vale la pena vivere sono le braci.

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