Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini
Il titolo è tornato a circolare in Italia - tra la curiosità di quanti non lo conoscevano e il compiacimento dei lettori consapevoli del suo valore - dopo essere stato scelto come spunto per l'analisi del testo della prima traccia di Italiano negli Esami di maturità del 2018. Con il tocco aristocratico del doppio cognome e l'atmosfera bucolica evocata dall'idea ordinata di una distesa verde, "Il giardino dei Finzi-Contini" è un romanzo del 1962, firmato Giorgio Bassani.
Le aspettative create dal titolo sembrano essere subito smentite dall'incipit, in cui aleggia il tema della morte. Non della morte cruda e inspiegabile, però, quanto di un senso di rassegnazione, rispetto e quasi venerazione nei confronti di una morte lontana, che si è portata via il corpo di quanti non ci sono più, lasciandone però il ricordo, tangibile attraverso la memoria visiva di sepolcri e cimiteri.
Il romanzo, di fatti, si apre nelle tombe etrusche di Cerveteri (vicino Roma), in cui il narratore si trova in visita nel 1957: occasione che - afferma nel prologo -, rimandandolo con la mente al cimitero ebraico di Ferrara, lo spinge finalmente a esaudire il ricorrente desiderio di raccontare della famiglia Finzi-Contini. Il suo sguardo trasognato e nostalgico si sofferma sul ricordo del loro imponente monumento funebre, in cui, però, - come ci viene rivelato sin dall'inizio - solo uno dei componenti della famiglia fu effettivamente sepolto; gli altri, scomparsi nei campi di concentramento.
La fine dei personaggi è già annunciata.
Cosa ci sarà, allora, di così importante da narrare? E cosa avranno di tanto speciale i membri di questa famiglia ormai dimenticata? Un'unica risposta per entrambe le domande: il giardino.
L'azione si svolge a Ferrara, luogo molto caro all'autore, che ambientò nella medesima città altri quattro romanzi (venuti a far parte di una raccolta che comprende Dentro le mura, Gli occhiali d’oro, Dietro la porta, L’airone e L’odore del fieno). Ci troviamo negli anni 1938-1941, quando alcuni ragazzi, quasi tutti del posto, prendono l'abitudine di incontrarsi nel giardino dei Finzi-Contini, una altolocata famiglia ebrea di Ferrara, per giocare a tennis, dopo essere stati esclusi dal circolo sportivo della città, diventato inaccessibile alle persone di origine ebraica. Tra questi, il protagonista e i fratelli Alberto e Micòl Finzi-Contini.
L'esteso giardino, delimitato da alte mura, diventa un luogo d'incontro protetto, in cui gli svaghi e i sogni dei ragazzi possono sfuggire alla velata minaccia esterna. Luogo ideale, perfetto e simbolico, che vede nascere un legame sempre più profondo tra il protagonista e Micòl. Già da bambini, quest'ultima lo aveva invitato a oltrepassare le mura, ma, anche a causa delle titubanze di lui, l'ingresso nella ricca proprietà non era avvenuto. Dieci anni dopo, il protagonista oltrepassa finalmente quel confine, scoprendo i misteri e i piaceri del giardino, ovvero dell'amore.
"Hai detto che noi due siamo uguali," dissi. "In che senso?"
Ma sì, ma sì - esclamò -, e nel senso che anch'io, come lei, non disponevo di quel gusto istintivo delle cose che caratterizza la gente normale. Lo intuiva benissimo: per me, non meno che per lei, più del presente contava il passato, più del possesso il ricordarsene. Di fronte alla memoria, ogni possesso non può che apparire che delusivo, banale, insufficiente... Come mi capiva! La mia ansia che il presente diventasse "subito" passato perché potessi amarlo e vagheggiarlo a mio agio era anche sua, tale e quale. Era il "nostro" vizio, questo: d'andare avanti con le teste sempre voltate all'indietro."
Nelle parole di Micòl, riferite dal narratore-protagonista, c'è la sintesi dell'intero racconto: una storia d'amore, che è esattamente amore per il passato. Il protagonista è un sognatore che non guarda al futuro, ma che adora voltarsi indietro per evocare e idolatrare quanto accaduto. La minaccia del presente e l'incertezza del futuro non hanno nulla a che vedere con il passato, rifugio e quindi "giardino" impreziosito dalla certezza di essere intoccabile. Mentre tutto si trasforma, dal punto di vista storico e personale, il passato è immutabile o, al massimo, può essere accentuato e mitizzato dalla soggettività dell'individuo.
Sebbene "Il giardini dei Finzi-Contini" sia uno dei primi testi narrativi ad affrontare il tema delle discriminazioni razziali in Italia, l'intento primario dell'autore non è affatto quello di testimoniare o criticare direttamente tali discriminazioni: il suo è il racconto pulito e raffinato di un'età preziosa, prima della deportazione, in cui amore e amicizia accompagnano gli studi universitari, anche durante le difficoltà della politica antisemita.
Tutto ruota intorno al giardino, simbolo del passato e dell'età più fiorente dei sentimenti, nella consapevolezza che esiste un tempo per ogni cosa e anche il tempo per il giardino, quindi, è delimitato.
"Nella vita, se uno vuol capire, capire sul serio come stanno le cose di questo mondo, deve morire almeno una volta. E allora, dato che la legge è questa, meglio morire da giovani, quando uno ha ancora tanto tempo davanti a sé per tirarsi su e risuscitare..."
Il romanzo raggiunse ulteriore successo grazie alla trasposizione cinematografica di Vittorio De Sica, che ne fece un film criticato e rifiutato dallo scrittore, il quale vide tradito il suo intento di descrivere il tessuto di legami che unisce o divide le persone senza sentimentalismi, ma con uno stile asciutto, elegante e prezioso, proprio come il guardino.
Necessario sottolinearlo? Un romanzo da conoscere.
Le aspettative create dal titolo sembrano essere subito smentite dall'incipit, in cui aleggia il tema della morte. Non della morte cruda e inspiegabile, però, quanto di un senso di rassegnazione, rispetto e quasi venerazione nei confronti di una morte lontana, che si è portata via il corpo di quanti non ci sono più, lasciandone però il ricordo, tangibile attraverso la memoria visiva di sepolcri e cimiteri.
Il romanzo, di fatti, si apre nelle tombe etrusche di Cerveteri (vicino Roma), in cui il narratore si trova in visita nel 1957: occasione che - afferma nel prologo -, rimandandolo con la mente al cimitero ebraico di Ferrara, lo spinge finalmente a esaudire il ricorrente desiderio di raccontare della famiglia Finzi-Contini. Il suo sguardo trasognato e nostalgico si sofferma sul ricordo del loro imponente monumento funebre, in cui, però, - come ci viene rivelato sin dall'inizio - solo uno dei componenti della famiglia fu effettivamente sepolto; gli altri, scomparsi nei campi di concentramento.
La fine dei personaggi è già annunciata.
Cosa ci sarà, allora, di così importante da narrare? E cosa avranno di tanto speciale i membri di questa famiglia ormai dimenticata? Un'unica risposta per entrambe le domande: il giardino.
L'azione si svolge a Ferrara, luogo molto caro all'autore, che ambientò nella medesima città altri quattro romanzi (venuti a far parte di una raccolta che comprende Dentro le mura, Gli occhiali d’oro, Dietro la porta, L’airone e L’odore del fieno). Ci troviamo negli anni 1938-1941, quando alcuni ragazzi, quasi tutti del posto, prendono l'abitudine di incontrarsi nel giardino dei Finzi-Contini, una altolocata famiglia ebrea di Ferrara, per giocare a tennis, dopo essere stati esclusi dal circolo sportivo della città, diventato inaccessibile alle persone di origine ebraica. Tra questi, il protagonista e i fratelli Alberto e Micòl Finzi-Contini.
L'esteso giardino, delimitato da alte mura, diventa un luogo d'incontro protetto, in cui gli svaghi e i sogni dei ragazzi possono sfuggire alla velata minaccia esterna. Luogo ideale, perfetto e simbolico, che vede nascere un legame sempre più profondo tra il protagonista e Micòl. Già da bambini, quest'ultima lo aveva invitato a oltrepassare le mura, ma, anche a causa delle titubanze di lui, l'ingresso nella ricca proprietà non era avvenuto. Dieci anni dopo, il protagonista oltrepassa finalmente quel confine, scoprendo i misteri e i piaceri del giardino, ovvero dell'amore.
Ma sì, ma sì - esclamò -, e nel senso che anch'io, come lei, non disponevo di quel gusto istintivo delle cose che caratterizza la gente normale. Lo intuiva benissimo: per me, non meno che per lei, più del presente contava il passato, più del possesso il ricordarsene. Di fronte alla memoria, ogni possesso non può che apparire che delusivo, banale, insufficiente... Come mi capiva! La mia ansia che il presente diventasse "subito" passato perché potessi amarlo e vagheggiarlo a mio agio era anche sua, tale e quale. Era il "nostro" vizio, questo: d'andare avanti con le teste sempre voltate all'indietro."
Nelle parole di Micòl, riferite dal narratore-protagonista, c'è la sintesi dell'intero racconto: una storia d'amore, che è esattamente amore per il passato. Il protagonista è un sognatore che non guarda al futuro, ma che adora voltarsi indietro per evocare e idolatrare quanto accaduto. La minaccia del presente e l'incertezza del futuro non hanno nulla a che vedere con il passato, rifugio e quindi "giardino" impreziosito dalla certezza di essere intoccabile. Mentre tutto si trasforma, dal punto di vista storico e personale, il passato è immutabile o, al massimo, può essere accentuato e mitizzato dalla soggettività dell'individuo.
Tutto ruota intorno al giardino, simbolo del passato e dell'età più fiorente dei sentimenti, nella consapevolezza che esiste un tempo per ogni cosa e anche il tempo per il giardino, quindi, è delimitato.
"Nella vita, se uno vuol capire, capire sul serio come stanno le cose di questo mondo, deve morire almeno una volta. E allora, dato che la legge è questa, meglio morire da giovani, quando uno ha ancora tanto tempo davanti a sé per tirarsi su e risuscitare..."
Il romanzo raggiunse ulteriore successo grazie alla trasposizione cinematografica di Vittorio De Sica, che ne fece un film criticato e rifiutato dallo scrittore, il quale vide tradito il suo intento di descrivere il tessuto di legami che unisce o divide le persone senza sentimentalismi, ma con uno stile asciutto, elegante e prezioso, proprio come il guardino.
Necessario sottolinearlo? Un romanzo da conoscere.
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