Io sono Malala

Quando non vediamo ciò che abbiamo


  Spesso si trascinano nelle aule sottostando ad una sorta di incomprensibile supplizio, sperando nel prossimo suono della campanella: sono gli "studenti" che non studiano, inconsapevoli del loro dovere e, ancor di più, del loro diritto. Ci si lamenta dei troppi compiti, dei professori incompetenti, dello strazio dello stare ore ed ore in classe, del tempo perso... Andateglielo a dire che quella di studiare è un'opportunità e di quanto sono privilegiati! "Marco, questo pomeriggio hai il privilegio di fare tutti gli esercizi di matematica da pagina 202 a 212 e, visto che sei molto fortunato, di studiare anche tutto il Decadentismo, D'Annunzio e Pascoli". Mmm no, penso non funzionerebbe. Le parole, quando non sono vissute ma solo recepite passivamente, si spogliano del loro potere d'azione. 
   E se organizzassimo, allora, uno scambio culturale con l'Afghanistan? O con  il Sudan? Meglio il Nepal? La scelta dei Paesi dove le scuole vengono fatte saltare in aria come briciole o dove si studia ammassati in spazi angusti è ampia. I ragazzi di questi Paesi pregano per avere compiti e qualcuno che glieli corregga, supplicano di poter trascorrere ore con i loro coetanei, bramano di poter imparare, perché sanno che scuola è sinonimo di "normalità" e soprattutto di "pace". Altro che gite a Praga o Malta, un bel giretto in Pakistan, no?
   In tema di istruzione, la panoramica mondiale è molto variegata. Oltre alla situazioni degradate di una parte del mondo, ci sono anche sistemi efficienti. Giocare a carte tra una lezione e l'altra, o anche ai videogame, sdraiarsi in un'aula relax e avere spazi senza banchi con tecnologia all'avanguardia è, per noi italiani, un sogno - al momento - irrealizzabile. Eppure, in Norvegia è realtà, una realtà che funziona benissimo. Qui, nell'impossibilità di aspirare a tanto, si gioca a carte direttamente in classe, di nascosto, nel rifugio degli ultimi banchi. Inutile dire che non è esattamente la stessa cosa.
   Per non parlare poi delle donne. Supera di 50 milioni il numero di bambine e ragazze in tutto il mondo che non hanno accesso all'istruzione, a quello che è e dovrebbe essere per tutte e tutti un DIRITTO, ma anche un'ARMA.  



    Malala Yousafzai l'ha capito bene e ha innalzato la sua penna contro la discriminazione e la guerra. "Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo" scrive nel suo libro. "Io sono Malala" non è solo il racconto di una ragazza pakistana che vive in un Paese rimasto "indietro di secoli"; è innanzitutto una risposta e un grido. Una risposta alla domanda del talebano che, facendo irruzione nel pulmino, l'ha cercata tra gli altri studenti chiedendo "Chi è Malala?"; una risposta che non ha fatto in tempo a dare, sopraffatta dagli spari. "Io sono Malala" è anche un grido, il grido di chi è risorto, di chi ha iniziato una seconda vita e che, dopo gli interventi necessari per rimuovere quel proiettile che l'ha colpita al lato sinistro del volto, è tornata a dare voce a uno dei diritti fondamentali dell'individuo: quello dell'istruzione.
    Nata a mezzogiorno, nel Paese creato nella mezzanotte del 1947 - come narra anche Rushdie nel suo capolavoro "I figli della mezzanotte" - con la condanna di un futuro certo: procreare e dar da mangiare ai figli. In una terra dove mettere al mondo una femmina è una sciagura, il padre di Malala le diede il nome dell'eroina afghana, Malalai di Maiwand, che combatté contro gli inglesi nel 1880, vedendo in sua figlia gli occhi della determinazione e della forza. Grazie all'educazione del padre, promotore del diritto all'istruzione e fondatore di una scuola, Malala è cresciuta tra i libri, considerando l'edificio scolastico una vera e propria casa, dove coltivare la sua libertà.
   Con riferimenti storici agli avvenimenti della fine del Novecento e l'inizio del Duemila e rimandi culturali alla sua tribù, quella dei pashtun, che vive nella valle dello Swat, Malala presenta i cambiamenti più significativi della sua società, descritti dal suo punto di vista. Tradizione e religione si intrecciano al quotidiano, finché la sua lotta per conservare il diritto allo studio straripa dagli argini del locale per farsi sempre più diffusa.
   Malala, dopo l'attacco diretto dei talebani intenzionati a chiudere le scuole alle ragazze, è passata dal decorarsi le mani con motivi all'henné composti da calcoli e formule, invece di fiori e farfalle, a parlare alle Nazioni Unite; dall'essere nata in un giorno considerato triste ad avere un giorno a lei dedicato, il "Malala Day", celebrato il 10 novembre; continuando la sua campagna a favore dell'istruzione con un fondo dedicato a progetti per tutto il mondo, il "Malala Fund".
   A tutti i ragazzi che zoppicano per trovare la loro strada, a tutti coloro che scalpitano per poter accrescere il loro potenziale, ai professori stanchi affinché non perdano mai l'entusiasmo e a quelli disillusi perché continuino a combattere, a tutti noi quando non vediamo ciò che abbiamo, consiglio la lettura di questa testimonianza.

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