Elena Ferrante, L'amica geniale
Primo di quattro volumi, "L’amica geniale" è un romanzo che ti
prende per mano trascinandoti lungo un cammino avvincente ma ancora
sconosciuto, come fanno le due protagoniste, Elena e Raffaella, quando, da
bambine, si prendono la mano per darsi coraggio e percorrere la scalinata che
conduce alla dimora del temuto don Achille. Un libro delicato, una storia che incide, uno stile consapevole, una lettura da non perdere, un viaggio dalla meta nebbiosa.
Perché scrivere
Elena, detta Lenù, decide di raccontare la storia della sua
amicizia con Raffaella, per tutti Lina ma Lila per l’amica, e quindi la storia
del suo rione napoletano, e quindi la storia dei suoi abitanti; una storia
fatta di cambiamenti, di crisi, di rotture di equilibri, di consuetudini. Elena
è ormai una donna sulla sessantina quando riceve una chiamata: Lila è sparita
da casa, eliminando ogni oggetto, ogni elemento, ogni traccia di sé; quelle
stesse tracce che l’amica decide di ricreare
utilizzando la scrittura come strumento per immortalare il passato:
testimonianza di un’esistenza e concretizzazione della memoria individuale e
storica.
Struttura e tempo
La struttura del libro si divide in tre parti: dopo il
prologo, si procede con il racconto dell’infanzia e dell’adolescenza, dedicando
una parte specifica ad ognuna delle due fasi della vita. La narrazione in prima persona,
filtrata dagli occhi e dalla mente di Elena, si apre su Napoli. Siamo negli
anni ’50, quando le due amiche, bambine, stringono gradualmente un rapporto che
si consoliderà nel corso del tempo, segnato da quella stretta di mano durante
la scalinata, quasi a suggellare un patto di complicità. La linearità del
racconto, scelta per privilegiare l’ordine cronologico dei fatti, è intervallata
da piccoli sbalzi temporali, che scuciono momentaneamente il racconto per poi
ritrovarne il punto di sutura.
Le protagoniste: amiche geniali
Elena inizia a scrivere la loro storia per ridare vita all’amica
che ha voluto eliminare ogni traccia di sé, che ha deciso di annullarsi per un
motivo ancora oscuro, così come da piccole entrambe sognavano di diventare
ricche pubblicando un libro memorabile, seguendo l’esempio di “Piccole donne”,
il romanzo letto e riletto da Lila. Le protagoniste si approcciano alla
scrittura come ad una possibilità di salvezza e, allo stesso tempo, tentano di
scrivere la propria vita cercando uno sbocco personale all’infuori della
povertà e dei casini del rione. Se Lila, però, tenta di uscire dal rione
rimanendone dentro, Elena, che ha avuto la possibilità di proseguire gli studi
dopo le elementari, trova nella scuola la possibilità di allontanarsi dalle
problematiche e dalle convenzioni sociali della realtà in cui vive.
Sfrontata, determinata, “cattiva”, Lila ha la capacità di
inventare storie, di rompere gli equilibri, di fare progetti e non sogni; non
avendo la possibilità di continuare a studiare, nonostante sia la migliore della
scuola elementare, coltiva privatamente il suo interesse per la cultura, studiando da sola
il latino e il greco, leggendo tantissimi libri presi in prestito dalla
biblioteca, in costante competizione con l’amica Elena, che, al contrario, va a
scuola, più per l’orgoglio di essere un punto di riferimento per Lila che per
pura passione. Lila è la bambina che dice quello che pensa, che sembra non
avere paura di niente, che riesce a studiare da sola con risultati eccellenti,
che inizia a lavorare con il padre calzolaio con l’ambizione di trasformare le
sue idee in concretezza: i disegni delle scarpe Cerullo (il cognome della sua
famiglia), da lei realizzati, non sono solo disegni, ma progetti da realizzare,
per creare un vero e proprio calzaturificio. Nelle abitudini di una vita di
stenti, nell’immobilità della sua famiglia, del rione, lei vede il cambiamento,
è lei stessa cambiamento, moto continuo. Anche fisicamente, crescendo, si
trasforma, ma lentamente la bellezza che aveva in testa, finisce
inaspettatamente sul suo corpo, quel corpo prima secco, senza forme, dai
capelli neri e ritti raccolti in una coda di cavallo, che ora attira a sé gli
sguardi e l’interesse dei ragazzi del rione.
Elena vede nell’amica un modello, che dall’imitazione dei
comportamenti (come quando butta la bambola di Lila, dopo che lei aveva fatto
lo stesso con la sua, per poi andare insieme a tentare di recuperarle
prendendosi per mano e avanzando verso casa di don Achille) come dimostrazione
del suo essere alla pari, della sua intenzione di non farsi sottomettere,
diventa sana competizione, consapevolezza di essere perennemente la seconda e
desiderio di sentirsi prima, anche lei modello per l’amica. Lila è presentata
come l’amica geniale, dal momento che il racconto è narrato da Elena, ma anche
quest’ultima è l’amica geniale per Lila, come le dirà lei stessa. Ognuna è da
stimolo all’altra, sebbene ognuna totalmente diversa dall’altra, in una
diversità che si fa ricchezza.
Coralità
Il romanzo si apre con l’elenco delle famiglie e i
rispettivi principali componenti. Uno di quei libri in cui devi sempre tornare
alle pagine iniziali per capire di chi si sta parlando? No. Nonostante i
numerosi personaggi, elencati per chiarezza, si entra così tanto in quel mondo
descritto, si diventa così parte di quel rione, che ogni personaggio viene
identificato subito, come se fosse un proprio vicino di casa, il pasticcere della
propria città, il proprio compagno di scuola. I rapporti che regolano gli
abitanti del rione poggiano su equilibri delicati e su nuovi bilanciamenti e,
con il passare del tempo, si trasformano, come si trasforma Napoli, pur
sembrando sempre la stessa.
La nuova generazione, quella di Lila e Lenù, è una promessa,
o forse una speranza, o forse solo un’ideale di cambiamento che si perde con la
crescita. La “plebe” è quell’insieme di voci, dialetto, ripicche, vendette, dove
Elena si sente sempre più a disagio, perché, come le dice la maestra Oliviero,
lei non è come la plebe, forse è quell’ideale, quella speranza, quella
promessa. È lei che percepisce, per la prima volta in vacanza a Ischia, la “gioia
del nuovo” come la chiama lei, che si contrappone quasi al sentimento di “smarginatura”,
provato invece dall’amica Lila.
Paratesto
L’immagine di copertina annuncia un episodio che si realizza
nel corso della narrazione e che rappresenta il fulcro della tradizione della
nostra civiltà, ma ancor di più delle usanze del rione: matrimonio come
incontro, come sfoggio di ricchezze inesistenti, come simbolo effimero e vuoto
di rinascita, come proseguimento dei passi dei propri genitori, come prosecuzione
del passato che si fa eterno presente.
Parere personale
Così come il romanzo ti prende per mano all’inizio, non ti
abbandona al termine della lettura, quando la fine non fine ti invita a
fiondarti nel volume secondo per conoscere l’evoluzione dei fatti, per stare
ancora in contatto con quei personaggi così ben delineati da pensare esistano
davvero e forse è realmente così, perché ci sarà davvero una Elena, una
Raffaella, un Solara, un Sarratore, una Oliviero a Napoli e un pezzo di loro un
po’ ovunque in Italia.
La storia non è solo quella a tutto tondo di un’amicizia, ma
è quella di un cambiamento personale e storico che arricchisce la narrazione.
Lo stile è pulito, lineare, ricco ed essenziale allo stesso tempo: ricco nella
descrizione, essenziale nella selezione dei termini, oltre che maturo, consapevole
ed equilibrato, soprattutto nella scelta di una narrazione che segue l’ordine
cronologico per la maggior parte senza adagiarsi su tale ordine e azzardando
salti temporali. L’autrice accompagna il lettore cautamente all’interno della
storia, dandogli tutti gli elementi per proseguire da sé nella lettura, dopo
aver conosciuto con ordine e delicatezza uno spaccato di realtà anche crudo e
violento.
Un romanzo che prosegue e nel volume secondo e nella mente del lettore, che non può far altro che portarsi dentro emozioni, riflessioni, pensieri.
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