Banana Yoshimoto, Kitchen
"Non c’è posto al mondo che io ami più della cucina.Non importa dove si trova, com’è fatta: purché sia una cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene. Se possibile le preferisco funzionali e vissute. Magari con tantissimi strofinacci asciutti e puliti e le piastrelle bianche che scintillano.
Anche le scintille incredibilmente sporche mi piacciono da morire."
Comincia così il primo romanzo dell'autrice giapponese Banana Yoshimoto, pubblicato nel 1988: la confessione, in tutta la sua semplicità, di un amore per le cucine, pulite o sporche che siano. Un amore che nasconde in sé la nostalgia per una famiglia assente, da cui la protagonista Mikage Sakurai cerca di evadere rifugiandosi in quella stanza che in ogni casa è simbolo di calore: la cucina.
Ricordando la malinconica e magica scrittura del Murakami di Norwegian Wood, questo libricino breve, dalla narrazione apparentemente lineare, sprigiona pagina dopo pagina l'alone di un'atmosfera trasognata che avvolge la protagonista, nonché narratrice, e Yuichi, un ragazzo che presto diventerà la sua nuova famiglia. Di fatti, rimasta sola, Mikage si trasferisce in casa del giovane ragazzo e della madre, entrambi vicini di casa della nonna scomparsa.
Mikage e Yuichi diventano così fratelli, amici, potenziali amanti... uniti da un legame che fugge qualsiasi definizione, ma che ben presto si scontra con la necessità di essere definito per poter sopravvivere.
Diviso in tre parti (Kitchen, Plenilunio e Moonlight Shadow) il testo rivela tutta la sua ambiguità con l'avanzare della lettura, passando dalla trasformazione di Eriko, "madre" di Yuichi, fino al fenomeno Tanabata dell'ultimo racconto, “idea romantica di una rarissima occasione di incontro per due amanti separati”. Smarrimento, famiglia, sessualità, cambiamento, morte sono i temi principali che emergono, descritti con uno stile personale, orientato alla rivelazione degli stati d'animo tramite gli oggetti, le azioni e, potremmo dire, le antiche tradizioni riscoperte in chiave moderna.
Ricordando la malinconica e magica scrittura del Murakami di Norwegian Wood, questo libricino breve, dalla narrazione apparentemente lineare, sprigiona pagina dopo pagina l'alone di un'atmosfera trasognata che avvolge la protagonista, nonché narratrice, e Yuichi, un ragazzo che presto diventerà la sua nuova famiglia. Di fatti, rimasta sola, Mikage si trasferisce in casa del giovane ragazzo e della madre, entrambi vicini di casa della nonna scomparsa.
Mikage e Yuichi diventano così fratelli, amici, potenziali amanti... uniti da un legame che fugge qualsiasi definizione, ma che ben presto si scontra con la necessità di essere definito per poter sopravvivere.
"I nostri sentimenti viaggiavano in un’oscurità circondata di morte, e stavano per affrontare una curva delicata tenendosi stretti. Forse, superata quella curva, avrebbero cominciato a separarsi prendendo strade diverse. In questo caso, saremmo rimasti per sempre solo amici."
Diviso in tre parti (Kitchen, Plenilunio e Moonlight Shadow) il testo rivela tutta la sua ambiguità con l'avanzare della lettura, passando dalla trasformazione di Eriko, "madre" di Yuichi, fino al fenomeno Tanabata dell'ultimo racconto, “idea romantica di una rarissima occasione di incontro per due amanti separati”. Smarrimento, famiglia, sessualità, cambiamento, morte sono i temi principali che emergono, descritti con uno stile personale, orientato alla rivelazione degli stati d'animo tramite gli oggetti, le azioni e, potremmo dire, le antiche tradizioni riscoperte in chiave moderna.
Sebbene non mi abbia colpito eccessivamente, è un libro da conoscere, testimone di una narrazione che, tra la tradizione orientale e quella occidentale, trova la sua originalità.
Concludo con la frase che ho amato di più dell'intero libro, perché rispecchia la mia filosofia di vita:
Concludo con la frase che ho amato di più dell'intero libro, perché rispecchia la mia filosofia di vita:
"VOGLIO ASSOLUTAMENTE CONTINUARE A
SENTIRE CHE UN GIORNO MORIRÒ. ALTRIMENTI NON MI ACCORDO CHE VIVO."
Mi sono piaciuti i primi due racconti, l'ultimo ho faticato a credere perché così lontano dalla nostra cultura e così vicino all'atmosfera dei manga.
RispondiEliminaSicuramente l'ultimo è il più "irreale". C'è una sorta di progressione nei racconti: dalle prime righe, essenziali e concrete, ad un'atmosfera sempre più vaga e, per noi occidentali, a tratti incomprensibile.
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