Mohsin Hamid, Il fondamentalista riluttante

 Mohsin Hamid,
Il fondamentalista riluttante
(2007)
* * * *(4/5)

"Chiedo scusa, signore, posso esserle d'aiuto? Ah, vedo che l'ho allarmata. Non si faccia spaventare dalla barba: io amo l'America. Mi sembrava che lei stesse cercando qualcosa; anzi, più che cercando, lei pareva in missione, e dato che io sono nativo di questa città e parlo la sua lingua, ho pensato di offrirle i miei servigi".
 Con queste parole si apre il primo dei dodici capitoli di cui è composto "Il fondamentalista riluttante". Quello che appare come un dialogo verso un interlocutore sconosciuto si rivela ben presto un monologo che Changez, il protagonista, rivolge a un passante al quale si avvicina. Ci troviamo a Lahore, in Pakistan, ma l'America si materializza sin dalle prime righe per poi emergere sempre più chiaramente. 
   Indirizzandosi a un "tu" esistente ma inconoscibile, Changez racconta la sua storia durante il tempo della cena che condivide con l'interlocutore, rivelandola, allo stesso tempo, al lettore. L'identità del protagonista, pakistano trasferitosi negli Stati Uniti all'età di diciotto anni, si fa sempre più traballante, fino ad assumere i connotati di un moderno "giannizziero", diviso tra le sue origini e le possibilità di successo offerte dal Nuovo Mondo. Changez ottiene un incarico di spicco, guadagna un ottimo stipendio, conosce una ragazza americana, Erica, e si integra, o pensa di essersi integrato completamente in questa realtà. Ma qualcosa cambia...

   Lo stile narrativo, essenziale e originale - un racconto del passato intercalato dai riferimenti a cosa sta accadendo mentre si racconta - attira e coinvolge immediatamente. La curiosità è alimentata dall'identità nascosta dell'interlocutore e dai cenni al presente, sempre più accattivanti.
   Il tema del contrasto tra Oriente e Occidente, e nello specifico tra Pakistan e Stati Uniti, viene impersonificato dal protagonista, dalla sua attrazione e repulsione per il sogno americano. La natura della potenza a stelle e strisce viene sviscerata da un uomo - non a cado un analista - che ne risalta i vantaggi ma anche le ipocrisie.
   L'unico elemento poco originale, a mio avviso, è la storia tra Changez e Erica, nella quale si percepiscono palesemente echi di Watanabe e Naoko, personaggi di Norwegian wood. La funzione di Erica nel racconto si perde con l'avanzare del racconto, diventando quasi superflua, mentre poteva essere sfruttata diversamente.
   Rimane, comunque, un libro da conoscere: la lettura è davvero piacevole e il tema senza dubbio interessante.



Commenti

  1. Anche a me è piaciuto molto. Sono rimasta un pochino titubante per il finale, mi è sembrato ambiguo.
    Però è interessante carpire i sentimenti che animano Changez; siamo stati abituati a sentire la parte americana come fosse l'unica fonte di verità.

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    1. Hai ragione, il finale è decisamente ambiguo, ma forse proprio per questo mi è piaciuto ancora di più. Nel complesso, l'ho trovato interessante, scorrevole e particolare: davvero una piacevole lettura.

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  2. Scusa se ti scrivo un commento che non ha nulla a che fare col post ma credo ti possa interessare questo Post-Tag.
    Sul mio blog ci sono le domande...
    http://chez-alessandra.blogspot.it/2013/12/tag-year-of-books.html

    Buona serata!!! :)

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